di Giorgio Gasperoni
Negli ultimi anni, una voce fuori dal coro ha saputo richiamare l’attenzione della scienza a interrogativi più profondi: Federico Faggin, pioniere dell’informatica e inventore del primo microprocessore, ha dedicato la seconda parte della sua vita a una ricerca sorprendente – quella sulla coscienza.
Secondo Faggin, la coscienza non è un prodotto del cervello, né il risultato accidentale dell’evoluzione materiale. Essa è realtà primaria, preesistente alla materia, e non riducibile a un algoritmo. Le sue parole fanno eco a tradizioni filosofiche e spirituali antiche, per le quali la coscienza è ciò che dà origine e significato alla vita, e non il contrario.
Questa prospettiva rovescia la visione dominante. Non siamo macchine biologiche complesse, ma esseri coscienti che abitano un corpo. La materia non genera la vita, ma è piuttosto la vita – e la coscienza – a informare la materia. È una rivoluzione silenziosa, ma potente, che apre nuove strade al dialogo tra scienza e spiritualità.
Nel tempo dell’intelligenza artificiale, dove si sogna (o si teme) la nascita di una coscienza artificiale, la testimonianza di Faggin ci ricorda un punto essenziale: nessuna macchina potrà mai contenere l’infinito che è in noi. Non si tratta di nostalgia del passato, ma di custodia di una verità profonda: l’essere umano è irriducibile, perché cosciente, libero e unico.
In un mondo che corre verso il futuro, abbiamo bisogno di fermarci e ascoltare queste voci coraggiose. Perché solo una tecnologia che riconosce il mistero dell’uomo può essere davvero al servizio della pace.