Antica Chiesa scavata nella roccia |
Dilaniato da conflitti e tensioni ai quali si accompagnano ripetute siccità seguite da gravi carestie che hanno causato innumerevoli vittime, il Corno d’Africa, strategicamente molto importante, è considerato una delle regioni più violente e povere del mondo.
di Emilio Asti
Diversa dal resto dell’Africa per vari fattori questa regione, di notevole importanza nello scacchiere africano e la cui denominazione è suggerita dalla forma del territorio, che rappresenta la parte più orientale del continente africano, attualmente comprende quattro paesi: Somalia, Etiopia, Eritrea e Gibuti. Legata culturalmente alla penisola arabica, da cui è separata
Diversa dal resto dell’Africa per vari fattori questa regione, di notevole importanza nello scacchiere africano e la cui denominazione è suggerita dalla forma del territorio, che rappresenta la parte più orientale del continente africano, attualmente comprende quattro paesi: Somalia, Etiopia, Eritrea e Gibuti. Legata culturalmente alla penisola arabica, da cui è separata
da un breve tratto di mare, questa regione, ritenuta
una delle culle dell’umanità, situata tra la penisola arabica e
l’Africa Nera, anticamente fu un importante crocevia culturale oltreché
snodo di traffici fra il mondo arabo e l’ Africa Nera. Dal deserto della
Dancalia alle coste del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano sino alle alte
montagne e ai laghi dell’Etiopia, dalle antiche chiese scavate nella
roccia alle numerose moschee e ai riti legati alle tradizioni animiste,
questo territorio, con una composizione etnica assai diversificata, è un
crogiolo di contrasti geografici e culturali, che conserva molte
testimonianze di un ricco passato.
Asmara, capitale dell'Eritrea |
Alcuni
studiosi ipotizzano che il paese di Ophir, menzionato nella Bibbia e
famoso per le sue enormi ricchezze, si trovasse sulla costa del Corno
d’Africa.
Poche zone al mondo come il Corno d’Africa sono state colpite con tanta frequenza da disastri naturali e conflitti. Il continuo arrivo di profughi da quest’area, divenuta sinonimo di profonda miseria e di sanguinosi conflitti, testimonia tuttora la gravità della situazione.
Spesso la realtà di questa regione, e del mondo extraeuropeo in generale, è spesso vista attraverso dei prismi deformanti legati ad un’ottica ancora influenzata, spesso inconsapevolmente, da una mentalità di tipo colonialista che impedisce di cogliere in modo corretto le varie realtà di questi paesi, sul conto dei quali purtroppo si nutrono ancora molte immagini precostituite.
Per capire correttamente le radici della crisi di quest’area, già vittima del colonialismo europeo e poi teatro della competizione fra URSS e Occidente, che qui mantenevano zone d’influenza, bisogna tener presente che le diverse dinamiche nazionali si sono intrecciate con le drammatiche vicende internazionali, contribuendo a creare un coacervo di situazioni conflittuali difficilmente decifrabili. Gli interessi strategici internazionali hanno contribuito a consolidare le divisioni tra questi stati, tra i quali sussiste tuttora un forte antagonismo, alimentato da molteplici fattori. Questi ultimi anni in seguito ai rivolgimenti politici seguiti al crollo dell’Unione Sovietica e all’11 Settembre si è venuta a creare una situazione più complessa ed esplosiva di quanto si creda. L’islamismo radicale, divenuto veicolo di rivalità etniche, ha guadagnato terreno e l’azione di gruppi radicali, che vorrebbero islamizzare tutta la regione è intensa.
Il quadro regionale è aggravato da dispute territoriali non risolte che sebbene ormai non facciano più notizia sui mass media, continuano tuttavia a provocare vittime.
Questa regione, una tra le zone più povere e calde del mondo, è afflitta da uno stato di miseria che pare non finire mai. I suoi abitanti, in continua lotta con l’ambiente e in condizioni di vita intollerabili, spesso senza alcuna protezione contro il clima soffocante, sopravvivono grazie al sussidio di organizzazioni umanitarie internazionali e si trovano a lottare per la spartizione delle scarse risorse alimentari ed idriche. Non molti anni fa’ la siccità ha causato gravi carestie accompagnate da spostamenti di massa, attraverso un territorio arido e privo di vegetazione, alla ricerca di acqua e di cibo. Tuttora permangono gli effetti di queste carestie, che causarono la morte di centinaia di migliaia di persone e che non possono essere attribuite solo agli eventi climatici. I governi si sono dimostrati incapaci di gestire questa tragedia, sulle cui effettive dimensioni non vi sono stime attendibili.
Gli aiuti umanitari internazionali, la distribuzione dei quali è resa difficile dalla mancanza di strade e di mezzi di trasporto, non sono sufficienti a coprire le necessità della popolazione, il cui reddito pro capite è tra i più bassi del mondo. Il lavoro delle organizzazioni umanitarie straniere, diversi operatori delle quali vennero sequestrati, incontra molte difficoltà; diversi operatori umanitari sono stati minacciati ed alcuni sono stati sequestrati. In diverse occasioni aiuti alimentari, destinati alle popolazioni bisognose, erano stati messi in vendita al mercato nero.
Da una zona all’altra di questa martoriata regione, sprofondata nel caos economico e sociale, è un susseguirsi di villaggi abbandonati e terre sterili, con tanta gente malnutrita con un’aspettativa di vita molto bassa, che vive in condizioni terribili, in assenza di acqua e di energia elettrica, senza infrastrutture essenziali. Un altro dramma è quello degli sfollati interni, molti dei quali, costretti a trascorrere la propria esistenza nei campi profughi, muoiono di privazioni e di stenti. L’AIDS e altre malattie fanno strage tra la popolazione. Con poche industrie in grado di funzionare domina un’economia di sussistenza basata su un’agricoltura primitiva e sulla pastorizia nomade; a causa dell’aumento dell’erosione e della desertificazione ampie zone di terra sono divenute ormai inutilizzabili a fini agricoli. Nonostante alcuni progressi, molto elevato rimane l’indice di mortalità infantile, accompagnato da un elevato tasso di analfabetismo, situazione comune a tanti paesi del Sud del mondo, ma che qui assume proporzioni drammatiche, nell’indifferenza della comunità internazionale.
Per capire correttamente le radici della crisi di quest’area, già vittima del colonialismo europeo e poi teatro della competizione fra URSS e Occidente, che qui mantenevano zone d’influenza, bisogna tener presente che le diverse dinamiche nazionali si sono intrecciate con le drammatiche vicende internazionali, contribuendo a creare un coacervo di situazioni conflittuali difficilmente decifrabili. Gli interessi strategici internazionali hanno contribuito a consolidare le divisioni tra questi stati, tra i quali sussiste tuttora un forte antagonismo, alimentato da molteplici fattori. Questi ultimi anni in seguito ai rivolgimenti politici seguiti al crollo dell’Unione Sovietica e all’11 Settembre si è venuta a creare una situazione più complessa ed esplosiva di quanto si creda. L’islamismo radicale, divenuto veicolo di rivalità etniche, ha guadagnato terreno e l’azione di gruppi radicali, che vorrebbero islamizzare tutta la regione è intensa.
Un tratto della costa di Gibuti |
Questa regione, una tra le zone più povere e calde del mondo, è afflitta da uno stato di miseria che pare non finire mai. I suoi abitanti, in continua lotta con l’ambiente e in condizioni di vita intollerabili, spesso senza alcuna protezione contro il clima soffocante, sopravvivono grazie al sussidio di organizzazioni umanitarie internazionali e si trovano a lottare per la spartizione delle scarse risorse alimentari ed idriche. Non molti anni fa’ la siccità ha causato gravi carestie accompagnate da spostamenti di massa, attraverso un territorio arido e privo di vegetazione, alla ricerca di acqua e di cibo. Tuttora permangono gli effetti di queste carestie, che causarono la morte di centinaia di migliaia di persone e che non possono essere attribuite solo agli eventi climatici. I governi si sono dimostrati incapaci di gestire questa tragedia, sulle cui effettive dimensioni non vi sono stime attendibili.
Gli aiuti umanitari internazionali, la distribuzione dei quali è resa difficile dalla mancanza di strade e di mezzi di trasporto, non sono sufficienti a coprire le necessità della popolazione, il cui reddito pro capite è tra i più bassi del mondo. Il lavoro delle organizzazioni umanitarie straniere, diversi operatori delle quali vennero sequestrati, incontra molte difficoltà; diversi operatori umanitari sono stati minacciati ed alcuni sono stati sequestrati. In diverse occasioni aiuti alimentari, destinati alle popolazioni bisognose, erano stati messi in vendita al mercato nero.
Da una zona all’altra di questa martoriata regione, sprofondata nel caos economico e sociale, è un susseguirsi di villaggi abbandonati e terre sterili, con tanta gente malnutrita con un’aspettativa di vita molto bassa, che vive in condizioni terribili, in assenza di acqua e di energia elettrica, senza infrastrutture essenziali. Un altro dramma è quello degli sfollati interni, molti dei quali, costretti a trascorrere la propria esistenza nei campi profughi, muoiono di privazioni e di stenti. L’AIDS e altre malattie fanno strage tra la popolazione. Con poche industrie in grado di funzionare domina un’economia di sussistenza basata su un’agricoltura primitiva e sulla pastorizia nomade; a causa dell’aumento dell’erosione e della desertificazione ampie zone di terra sono divenute ormai inutilizzabili a fini agricoli. Nonostante alcuni progressi, molto elevato rimane l’indice di mortalità infantile, accompagnato da un elevato tasso di analfabetismo, situazione comune a tanti paesi del Sud del mondo, ma che qui assume proporzioni drammatiche, nell’indifferenza della comunità internazionale.
Zona rurale della Somalia |
Invalidi e handicappati sono abbandonati a sé stessi e tantissimi bambini sono esclusi dalla possibilità di andare a scuola e di conseguenza il tasso di analfabetismo permane elevato. Come in altre aree afflitte da catastrofi umanitarie e da conflitti a soffrire maggiormente sono le donne, molte delle quali rischiano di diventare vittime di soprusi e violenze o di essere vendute in cambio di denaro o di cibo, senza alcuna autorità che le difenda. Un grave problema è rappresentato dalle mutilazioni genitali femminili, pratica tuttora diffusa nelle zone rurali; gravidanze precoci ed esclusione dalla famiglia sono molto frequenti. Molte le donne che muoiono per complicazioni insorte durante la gravidanza e il parto. Malattie endemiche affliggono tutta la regione. L’AIDS e altre malattie hanno fatto strage tra la popolazione.
Emblematica della situazione del Corno d’Africa è la Somalia, dove da parecchi anni si è generalizzata una situazione di conflitto permanente, con esiti destabilizzanti sull’intera regione.
Formata dall’unione della Somalia sotto amministrazione fiduciaria italiana dal 1949 al 1960 e dal protettorato britannico del Somaliland, questo paese ottenne l’indipendenza nel 1960.
La caduta del regime di Siad Barre nel Gennaio del 1991, che dal 1969 aveva instaurato una spietata dittatura, precedentemente alleato con Mosca, a cui aveva concesso basi militari, ha segnato un punto di svolta per la Somalia. Da quel momento il paese divenne preda dei vari “Signori della guerra” che si sono resi responsabili di numerosi eccidi. Nonostante l’intervento di un contingente internazionale che attraverso l’operazione Restore Hope, svoltasi dal 1992 al 1995, non sono stati conseguiti risultati sulla via della pacificazione. Dopo il fallimento di quest’operazione altri tentativi di mettere fine agli scontri e di ripristinare uno stato di diritto finora non hanno avuto esito.
In un paese già duramente provato da carestie e guerre tribali la presenza di gruppi armati, che hanno costruito una rete molto estesa, ha provocato la distruzione delle infrastrutture e il caos. Per alcuni anni priva di un’autorità centrale la Somalia era divenuta campo d’azione di gruppi estremisti e criminali, che in un labirinto d’intrighi e di complicità con obiettivi ambigui, si dividevano il paese.
Sebbene in questa regione l’Islam avesse una lunga tradizione di tolleranza, la Somalia si trasformò in una zona cardine della rete dell’Islam radicale, che rappresenta una minaccia alla stabilità dell’intero Corno d’Africa. Le cosiddette Corti islamiche, originariamente nate come risposta alla grave situazione d’instabilità, si trasformarono poi in un movimento politico-militare in grado d’influenzare molte aree del paese, imponendo la legge coranica.
Tra i molti gruppi che operano in Somalia le milizie islamiche del movimento radicale Al Shabaab, che si battono per la creazione di uno stato islamico, hanno acquisito una posizione di preminenza, considerando l’applicazione della Sharia l’unica strada per mantenere l’ordine. Anche recentemente alcune donne, accusate di adulterio, sono state lapidate.
Uno stillicidio di attacchi e scontri sia di natura etnica che religiosa, che continuano a provocare vittime, rende impossibile lo svolgimento di una vita normale. Diversi gruppi armati, che si sono dimostrati capaci di mobilitare una gran quantità di uomini e di mezzi e che possono contare sui legami col terrorismo internazionale, si scontrano per il controllo del territorio, esposto continuamente al rischio di attentati.
In questi ultimi anni organizzazioni di vario tipo ed ambasciate hanno riaperto i loro uffici e sono nate anche nuove emittenti radiofoniche, anche se la Somalia, rimane un paese ad alto rischio in balia degli integralisti islamici e di bande criminali, infiltratesi in molte aree e responsabili anche del rapimento di alcuni funzionari dell’ONU e dell’assalto alla sede di Medici senza Frontiere a Mogadiscio.
Anche dopo l’insediamento del nuovo governo federale somalo nel 2012, l’entità statale si regge su basi molto precarie, in quanto più che una coscienza nazionale prevale una solidarietà tribale.
All’interno della Somalia l’area del Somaliland, nella parte settentrionale del paese, ha proclamato dal 1991 la propria indipendenza, senza però ottenere il riconoscimento della comunità internazionale. Anche una regione della Somalia nordorientale, chiamata Puntland, nel 1998 ha proclamato l’autonomia, senza però arrivare ad una vera secessione. Fra queste due entità territoriali vi è una disputa territoriale per alcune aree contese. Un altro stato autonomo somalo chiamato Khatumo venne proclamato nel 2012.
Un grave problema è inoltre rappresentato dai pirati che attaccano le navi e sequestrano gli equipaggi. Per contrastare la pirateria una flotta internazionale pattuglia le coste della Somalia, che possiede una lunga fascia costiera sull’Oceano Indiano.
Nel contesto africano l’Etiopia, il paese più vasto del Corno d’Africa, montuoso e ricco d’acqua, rappresenta un caso a sé. Può, infatti, vantare un’identità molto antica, menzionata anche nella Bibbia, ed è considerata il più antico stato africano, baluardo cristiano in Africa, la cui memoria storica si rifà ad un passato leggendario. Lo testimoniano ancor oggi monasteri ed antiche chiese scavate nella roccia. In questo paese la chiesa copta etiope, che fu chiesa di stato per diversi secoli fino al 1974, ha conservato alcuni elementi dell’Ebraismo, mantenendo molte tracce del periodo protocristiano. In Etiopia è presente anche una comunità ebraica detta Falascia, i cui componenti, secondo alcuni, sarebbero i discendenti di una delle tribù perdute d'Israele. Della grande nazione di un tempo, erede dell’antico impero di Axum, importante centro culturale e religioso, che divenne una potenza egemone nell’Africa Orientale, è rimasto ben poco. Tra i paesi africani l’Etiopia ha goduto di un certo prestigio e nella sua capitale Addis Abeba nel 1963 nacque l’Organizzazione per l’Unità Africana, cui aderirono molti paesi africani. Da allora il segretariato permanente di questa organizzazione, fondata con lo scopo di promuovere la cooperazione economica tra i paesi africani e di combattere il colonialismo, ha sede in quella città, la quale ospita anche in quartier generale della Commissione Economica delle Nazioni unite per l’Africa.
Nel 1974, l’impero etiopico, fondato sulla figura del Negus, il cui lignaggio risalirebbe alla regina di Saba, venne soppresso da un colpo di stato organizzato da militari di orientamento comunista, con a capo Hailé Menghistu.
Durante gli anni della dittatura di Menghistu, fedele alleato di Mosca che gli forniva ingenti aiuti militari ed economici, l’Etiopia accoglieva militari sovietici e cubani, pronti ad intervenire in vari paesi. Attraverso Menghistu l’URSS, alla quale il regime etiope aveva concesso alcune basi navali sulla costa del Mar Rosso, cercava di espandere la propria influenza nel resto dell’Africa. A quel tempo si era venuto a formare un asse tra Etiopia, Somalia e Yemen del Sud, governato da un regime filosovietico. Le scelte politiche del governo etiope hanno fatto precipitare l’agricoltura in una crisi profonda, tra il 1983 e il 1985 l’Etiopia fu vittima di una terribile carestia, che provocò la morte di oltre un milione di persone, la cui gravità venne però dissimulata dal regime, che aveva imposto ingenti trasferimenti di popolazione da una regione all’altra.
Nel 1991 il crollo della dittatura comunista lasciò il paese in una condizione drammatica e ad oltre 20 anni di distanza la situazione è tuttora molto incerta.
Un grave problema in Etiopia, paese multietnico nel quale il mantenimento dell’unità nazionale deve confrontarsi con forti spinte secessioniste, è rappresentato dalla questione delle nazionalità. Nella regione dell’Ogaden e in quella dell’Oromo, sono attivi diversi movimenti separatisti, che hanno basi oltrefrontiera, ma che non possono contare sull’appoggio internazionale. Per cercare di ottenere l’appoggio internazionale il governo di Addis Abeba associa la lotta dell’Ogaden e dell’Oromo al fondamentalismo islamico.
Gli abitanti dell’Ogaden, area che, pur essendo geograficamente e culturalmente parte della Somalia, entrò a far parte dell’impero etiopico alla fine del 1800, sono in maggioranza somali. Il principale gruppo separatista l’Ogaden National Liberation Front, si batte già da diversi anni per l’indipendenza dall’Etiopia, il cui governo non intende cedere questo territorio, situato al centro del Corno d’Africa, in quanto ricco di risorse petrolifere. Nel 1977 il conflitto tra Etiopia e Somalia per il controllo della regione, vedeva l’intervento di truppe sovietiche e cubane, mentre il governo somalo riceveva aiuti militari ed economici dagli USA. Con l’appoggio militare sovietico Menghistu riuscì a domare la rivolta.
Altra zona di tensione è la regione degli Oromo, i quali benché rappresentino quasi metà della popolazione dell’Etiopia, si considerano vittime del colonialismo etiope, accusato di non riconoscere la loro identità etnica e culturale. Anche altre zone dell’Etiopia come la regione degli Afar, divisa tra Eritrea, Etiopia e Gibuti operano alcuni movimenti indipendentisti, il principale dei quali l’Afar Revolutionary Democratic Unity, mira a riunire tutta la popolazione Afa in un unico territorio.
Un capitolo importante e drammatico nella storia di questa regione è stato il conflitto fra Etiopia ed Eritrea che si protrae tuttora, con accordi violati e una serie di offensive intervallate da periodi di stasi.
Divenuta indipendente dall’Etiopia nel 1993 dopo lunghi anni di conflitto l’Eritrea, per molteplici aspetti distinta dall’Etiopia, venne poi federata all’impero etiopico sulla base di una decisione dell’ONU e da allora ebbe inizio una guerra d’indipendenza, alla quale parteciparono anche le donne, che causò centinaia di migliaia di vittime. La secessione dell’Eritrea, che privò l’Etiopia dello sbocco al mare, ancor oggi è contestata dall’Etiopia che ne mette in discussione la legittimità. Da allora diverse questioni di confine sono al centro di una complessa disputa tra i due stati. Nel Maggio del 1998 le truppe eritree penetrarono in territorio etiopico, occupando alcune zone del Tigrai nord-occidentale, rivendicate dall’Eritrea, provocando bombardamenti aerei da parte dell’Etiopia. L’Eritrea rifiuta di ritirarsi dai territori occupati, che considera propri sulla base dei confini tracciati all’inizio del secolo scorso. Il confine tra i due paesi, che continuano ad accusarsi a vicenda, è tuttora presidiato da forze dell’ONU.
Nel 1995 si verificarono scontri tra Eritrea e Yemen per la sovranità sulle isole Hanish, di grande importanza strategica nel Mar Rosso, e nonostante la sottoscrizione di un accordo rimane aperto il contenzioso tra i due paesi.
Un altro importante focolaio di tensione è rappresentato dalla situazione creatasi nel Sudan, paese nel quale già dagli anni 90 erano affluiti diversi movimenti integralisti islamici che vi trovarono accoglienza. I paesi confinanti si sentivano minacciati dalla politica del governo sudanese, che voleva islamizzare con la forza la parte meridionale del paese, abitata da popolazioni cristiane ed animiste. Anche parecchi membri di Al Qaeda si stanziarono in Sudan e lo stesso Osama Bin Laden vi soggiornò fino alla sua espulsione. Il Sudan, nel quale si era riversato quasi un milione di profughi etiopi per sfuggire alla carestia, appoggiava movimenti militati islamici etiopi ed eritrei, mentre i gruppi guerriglieri del Sudan meridionale trovavano appoggio in Etiopia. Non bisogna dimenticare che circa due milioni di persone hanno perso la vita in Sudan a causa della guerra civile che per molti anni ha opposto il Nord al Sud del paese e conclusasi con la divisione del Sudan in due stati.
La situazione non è tranquilla neppure a Gibuti, il più piccolo stato della regione, situato fra Eritrea e Somalia e confinante con l’Etiopia, ex colonia francese divenuta indipendente nel 1977, dove la forte tensione fra la maggioranza somala e la minoranza Afar ha creato un contesto turbolento che può esplodere in qualsiasi momento. Il porto di Gibuti, che una linea ferroviaria unisce alla capitale dell’Etiopia, è zona franca doganale ed un importante scalo marittimo grazie alla sua posizione strategica nel punto di passaggio dal Mar Rosso al Golfo di Aden.
Per tutta questa regione se si vuole evitare il trionfo degli estremismi ed uscire dal lungo passato di miseria, occorre un piano di smilitarizzazione dei gruppi armati e l’avvio di un processo di riconciliazione, in grado di risolvere le questioni nazionali mediante la creazione di una struttura politica che rispetti diritti umani di tutti gli abitanti ed investa risorse nella ricostruzione. La riuscita di ciò dipende anche dall’impegno sincero della comunità internazionale, che nelle relazioni con questi stati non può continuare a seguire vecchi schemi basati solo sulla logica del profitto. L’impegno di pacificare quest’area appare arduo e sfida ogni previsione futura, a motivo anche dell’ostilità intertribale e della presenza di forze che minacciano di distruggere sul nascere qualsiasi tentativo di creare un contesto favorevole al dialogo e alla stabilizzazione.
Soltanto attraverso una confederazione tra gli stati che lo compongono, fra i quali esiste un notevole campo di interazione culturale, il Corno d’Africa, una zona strategicamente decisiva per il futuro dell’Africa e del mondo islamico, riuscirà a progredire. Una confederazione di tal genere potrebbe rappresentare l’inizio di un’epoca nuova per questi popoli, sicuramente destinati ad acquisire maggior importanza nel consesso mondiale.
Anche se tale obiettivo appare lontano, alcuni fattori sembrano consentire qualche speranza. Stanno sorgendo, infatti, nuove imprese, il settore dei servizi sta conoscendo una crescente espansione e non mancano le iniziative volte a trovare nuove possibilità di sviluppo ed attirare investimenti stranieri, ma purtroppo tali sforzi si scontrano con la resistenza di vari settori della società, che temono che con l’arrivo delle multinazionali straniere possa instaurarsi una nuova forma di colonialismo. Quanto successo in altri paesi c’insegna che occorre tempo e pazienza per risolvere i gravi problemi accumulatisi.
Appare indispensabile a tal fine creare le condizioni per innescare meccanismi di sviluppo autoctono, che possano poi ridare fiducia alla popolazione ed aiutarla a divenire autosufficiente.
Emblematica della situazione del Corno d’Africa è la Somalia, dove da parecchi anni si è generalizzata una situazione di conflitto permanente, con esiti destabilizzanti sull’intera regione.
Formata dall’unione della Somalia sotto amministrazione fiduciaria italiana dal 1949 al 1960 e dal protettorato britannico del Somaliland, questo paese ottenne l’indipendenza nel 1960.
La caduta del regime di Siad Barre nel Gennaio del 1991, che dal 1969 aveva instaurato una spietata dittatura, precedentemente alleato con Mosca, a cui aveva concesso basi militari, ha segnato un punto di svolta per la Somalia. Da quel momento il paese divenne preda dei vari “Signori della guerra” che si sono resi responsabili di numerosi eccidi. Nonostante l’intervento di un contingente internazionale che attraverso l’operazione Restore Hope, svoltasi dal 1992 al 1995, non sono stati conseguiti risultati sulla via della pacificazione. Dopo il fallimento di quest’operazione altri tentativi di mettere fine agli scontri e di ripristinare uno stato di diritto finora non hanno avuto esito.
In un paese già duramente provato da carestie e guerre tribali la presenza di gruppi armati, che hanno costruito una rete molto estesa, ha provocato la distruzione delle infrastrutture e il caos. Per alcuni anni priva di un’autorità centrale la Somalia era divenuta campo d’azione di gruppi estremisti e criminali, che in un labirinto d’intrighi e di complicità con obiettivi ambigui, si dividevano il paese.
Sebbene in questa regione l’Islam avesse una lunga tradizione di tolleranza, la Somalia si trasformò in una zona cardine della rete dell’Islam radicale, che rappresenta una minaccia alla stabilità dell’intero Corno d’Africa. Le cosiddette Corti islamiche, originariamente nate come risposta alla grave situazione d’instabilità, si trasformarono poi in un movimento politico-militare in grado d’influenzare molte aree del paese, imponendo la legge coranica.
Tra i molti gruppi che operano in Somalia le milizie islamiche del movimento radicale Al Shabaab, che si battono per la creazione di uno stato islamico, hanno acquisito una posizione di preminenza, considerando l’applicazione della Sharia l’unica strada per mantenere l’ordine. Anche recentemente alcune donne, accusate di adulterio, sono state lapidate.
Uno stillicidio di attacchi e scontri sia di natura etnica che religiosa, che continuano a provocare vittime, rende impossibile lo svolgimento di una vita normale. Diversi gruppi armati, che si sono dimostrati capaci di mobilitare una gran quantità di uomini e di mezzi e che possono contare sui legami col terrorismo internazionale, si scontrano per il controllo del territorio, esposto continuamente al rischio di attentati.
In questi ultimi anni organizzazioni di vario tipo ed ambasciate hanno riaperto i loro uffici e sono nate anche nuove emittenti radiofoniche, anche se la Somalia, rimane un paese ad alto rischio in balia degli integralisti islamici e di bande criminali, infiltratesi in molte aree e responsabili anche del rapimento di alcuni funzionari dell’ONU e dell’assalto alla sede di Medici senza Frontiere a Mogadiscio.
Anche dopo l’insediamento del nuovo governo federale somalo nel 2012, l’entità statale si regge su basi molto precarie, in quanto più che una coscienza nazionale prevale una solidarietà tribale.
All’interno della Somalia l’area del Somaliland, nella parte settentrionale del paese, ha proclamato dal 1991 la propria indipendenza, senza però ottenere il riconoscimento della comunità internazionale. Anche una regione della Somalia nordorientale, chiamata Puntland, nel 1998 ha proclamato l’autonomia, senza però arrivare ad una vera secessione. Fra queste due entità territoriali vi è una disputa territoriale per alcune aree contese. Un altro stato autonomo somalo chiamato Khatumo venne proclamato nel 2012.
Un grave problema è inoltre rappresentato dai pirati che attaccano le navi e sequestrano gli equipaggi. Per contrastare la pirateria una flotta internazionale pattuglia le coste della Somalia, che possiede una lunga fascia costiera sull’Oceano Indiano.
Nel contesto africano l’Etiopia, il paese più vasto del Corno d’Africa, montuoso e ricco d’acqua, rappresenta un caso a sé. Può, infatti, vantare un’identità molto antica, menzionata anche nella Bibbia, ed è considerata il più antico stato africano, baluardo cristiano in Africa, la cui memoria storica si rifà ad un passato leggendario. Lo testimoniano ancor oggi monasteri ed antiche chiese scavate nella roccia. In questo paese la chiesa copta etiope, che fu chiesa di stato per diversi secoli fino al 1974, ha conservato alcuni elementi dell’Ebraismo, mantenendo molte tracce del periodo protocristiano. In Etiopia è presente anche una comunità ebraica detta Falascia, i cui componenti, secondo alcuni, sarebbero i discendenti di una delle tribù perdute d'Israele. Della grande nazione di un tempo, erede dell’antico impero di Axum, importante centro culturale e religioso, che divenne una potenza egemone nell’Africa Orientale, è rimasto ben poco. Tra i paesi africani l’Etiopia ha goduto di un certo prestigio e nella sua capitale Addis Abeba nel 1963 nacque l’Organizzazione per l’Unità Africana, cui aderirono molti paesi africani. Da allora il segretariato permanente di questa organizzazione, fondata con lo scopo di promuovere la cooperazione economica tra i paesi africani e di combattere il colonialismo, ha sede in quella città, la quale ospita anche in quartier generale della Commissione Economica delle Nazioni unite per l’Africa.
Nel 1974, l’impero etiopico, fondato sulla figura del Negus, il cui lignaggio risalirebbe alla regina di Saba, venne soppresso da un colpo di stato organizzato da militari di orientamento comunista, con a capo Hailé Menghistu.
Durante gli anni della dittatura di Menghistu, fedele alleato di Mosca che gli forniva ingenti aiuti militari ed economici, l’Etiopia accoglieva militari sovietici e cubani, pronti ad intervenire in vari paesi. Attraverso Menghistu l’URSS, alla quale il regime etiope aveva concesso alcune basi navali sulla costa del Mar Rosso, cercava di espandere la propria influenza nel resto dell’Africa. A quel tempo si era venuto a formare un asse tra Etiopia, Somalia e Yemen del Sud, governato da un regime filosovietico. Le scelte politiche del governo etiope hanno fatto precipitare l’agricoltura in una crisi profonda, tra il 1983 e il 1985 l’Etiopia fu vittima di una terribile carestia, che provocò la morte di oltre un milione di persone, la cui gravità venne però dissimulata dal regime, che aveva imposto ingenti trasferimenti di popolazione da una regione all’altra.
Nel 1991 il crollo della dittatura comunista lasciò il paese in una condizione drammatica e ad oltre 20 anni di distanza la situazione è tuttora molto incerta.
Un grave problema in Etiopia, paese multietnico nel quale il mantenimento dell’unità nazionale deve confrontarsi con forti spinte secessioniste, è rappresentato dalla questione delle nazionalità. Nella regione dell’Ogaden e in quella dell’Oromo, sono attivi diversi movimenti separatisti, che hanno basi oltrefrontiera, ma che non possono contare sull’appoggio internazionale. Per cercare di ottenere l’appoggio internazionale il governo di Addis Abeba associa la lotta dell’Ogaden e dell’Oromo al fondamentalismo islamico.
Gli abitanti dell’Ogaden, area che, pur essendo geograficamente e culturalmente parte della Somalia, entrò a far parte dell’impero etiopico alla fine del 1800, sono in maggioranza somali. Il principale gruppo separatista l’Ogaden National Liberation Front, si batte già da diversi anni per l’indipendenza dall’Etiopia, il cui governo non intende cedere questo territorio, situato al centro del Corno d’Africa, in quanto ricco di risorse petrolifere. Nel 1977 il conflitto tra Etiopia e Somalia per il controllo della regione, vedeva l’intervento di truppe sovietiche e cubane, mentre il governo somalo riceveva aiuti militari ed economici dagli USA. Con l’appoggio militare sovietico Menghistu riuscì a domare la rivolta.
Altra zona di tensione è la regione degli Oromo, i quali benché rappresentino quasi metà della popolazione dell’Etiopia, si considerano vittime del colonialismo etiope, accusato di non riconoscere la loro identità etnica e culturale. Anche altre zone dell’Etiopia come la regione degli Afar, divisa tra Eritrea, Etiopia e Gibuti operano alcuni movimenti indipendentisti, il principale dei quali l’Afar Revolutionary Democratic Unity, mira a riunire tutta la popolazione Afa in un unico territorio.
Un capitolo importante e drammatico nella storia di questa regione è stato il conflitto fra Etiopia ed Eritrea che si protrae tuttora, con accordi violati e una serie di offensive intervallate da periodi di stasi.
Divenuta indipendente dall’Etiopia nel 1993 dopo lunghi anni di conflitto l’Eritrea, per molteplici aspetti distinta dall’Etiopia, venne poi federata all’impero etiopico sulla base di una decisione dell’ONU e da allora ebbe inizio una guerra d’indipendenza, alla quale parteciparono anche le donne, che causò centinaia di migliaia di vittime. La secessione dell’Eritrea, che privò l’Etiopia dello sbocco al mare, ancor oggi è contestata dall’Etiopia che ne mette in discussione la legittimità. Da allora diverse questioni di confine sono al centro di una complessa disputa tra i due stati. Nel Maggio del 1998 le truppe eritree penetrarono in territorio etiopico, occupando alcune zone del Tigrai nord-occidentale, rivendicate dall’Eritrea, provocando bombardamenti aerei da parte dell’Etiopia. L’Eritrea rifiuta di ritirarsi dai territori occupati, che considera propri sulla base dei confini tracciati all’inizio del secolo scorso. Il confine tra i due paesi, che continuano ad accusarsi a vicenda, è tuttora presidiato da forze dell’ONU.
Nel 1995 si verificarono scontri tra Eritrea e Yemen per la sovranità sulle isole Hanish, di grande importanza strategica nel Mar Rosso, e nonostante la sottoscrizione di un accordo rimane aperto il contenzioso tra i due paesi.
Un altro importante focolaio di tensione è rappresentato dalla situazione creatasi nel Sudan, paese nel quale già dagli anni 90 erano affluiti diversi movimenti integralisti islamici che vi trovarono accoglienza. I paesi confinanti si sentivano minacciati dalla politica del governo sudanese, che voleva islamizzare con la forza la parte meridionale del paese, abitata da popolazioni cristiane ed animiste. Anche parecchi membri di Al Qaeda si stanziarono in Sudan e lo stesso Osama Bin Laden vi soggiornò fino alla sua espulsione. Il Sudan, nel quale si era riversato quasi un milione di profughi etiopi per sfuggire alla carestia, appoggiava movimenti militati islamici etiopi ed eritrei, mentre i gruppi guerriglieri del Sudan meridionale trovavano appoggio in Etiopia. Non bisogna dimenticare che circa due milioni di persone hanno perso la vita in Sudan a causa della guerra civile che per molti anni ha opposto il Nord al Sud del paese e conclusasi con la divisione del Sudan in due stati.
La situazione non è tranquilla neppure a Gibuti, il più piccolo stato della regione, situato fra Eritrea e Somalia e confinante con l’Etiopia, ex colonia francese divenuta indipendente nel 1977, dove la forte tensione fra la maggioranza somala e la minoranza Afar ha creato un contesto turbolento che può esplodere in qualsiasi momento. Il porto di Gibuti, che una linea ferroviaria unisce alla capitale dell’Etiopia, è zona franca doganale ed un importante scalo marittimo grazie alla sua posizione strategica nel punto di passaggio dal Mar Rosso al Golfo di Aden.
Per tutta questa regione se si vuole evitare il trionfo degli estremismi ed uscire dal lungo passato di miseria, occorre un piano di smilitarizzazione dei gruppi armati e l’avvio di un processo di riconciliazione, in grado di risolvere le questioni nazionali mediante la creazione di una struttura politica che rispetti diritti umani di tutti gli abitanti ed investa risorse nella ricostruzione. La riuscita di ciò dipende anche dall’impegno sincero della comunità internazionale, che nelle relazioni con questi stati non può continuare a seguire vecchi schemi basati solo sulla logica del profitto. L’impegno di pacificare quest’area appare arduo e sfida ogni previsione futura, a motivo anche dell’ostilità intertribale e della presenza di forze che minacciano di distruggere sul nascere qualsiasi tentativo di creare un contesto favorevole al dialogo e alla stabilizzazione.
Soltanto attraverso una confederazione tra gli stati che lo compongono, fra i quali esiste un notevole campo di interazione culturale, il Corno d’Africa, una zona strategicamente decisiva per il futuro dell’Africa e del mondo islamico, riuscirà a progredire. Una confederazione di tal genere potrebbe rappresentare l’inizio di un’epoca nuova per questi popoli, sicuramente destinati ad acquisire maggior importanza nel consesso mondiale.
Anche se tale obiettivo appare lontano, alcuni fattori sembrano consentire qualche speranza. Stanno sorgendo, infatti, nuove imprese, il settore dei servizi sta conoscendo una crescente espansione e non mancano le iniziative volte a trovare nuove possibilità di sviluppo ed attirare investimenti stranieri, ma purtroppo tali sforzi si scontrano con la resistenza di vari settori della società, che temono che con l’arrivo delle multinazionali straniere possa instaurarsi una nuova forma di colonialismo. Quanto successo in altri paesi c’insegna che occorre tempo e pazienza per risolvere i gravi problemi accumulatisi.
Appare indispensabile a tal fine creare le condizioni per innescare meccanismi di sviluppo autoctono, che possano poi ridare fiducia alla popolazione ed aiutarla a divenire autosufficiente.
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